LA PREGHIERA COME LOTTA

Mi ha sempre affascinata la figura biblica di Giacobbe che a sua insaputa si trovò a lottare con l’angelo di Dio fino a rimanere ferito, segno anche fisico di un incontro che cambiò totalmente la sua vita.

Papa Francesco in questi giorni ci ha ricordato questo episodio biblico tratto dalla Genesi illustrandolo come la metafora della preghiera cristiana. Lo spunto viene appunto dalla figura di Giacobbe che, non aveva buoni rapporti con suo fratello Esau, decide di camminare da solo contando sulle proprie capacità e le proprie forze. Ma un giorno sente il bisogno di tornare a relazionarsi con suo fratello, di riprendere i rapporti con le radici familiari. E mentre scendeva la notte lo assale il dubbio sull’accoglienza che gli avrebbe riservato suo fratello Esau. Nel buio accade un fatto straordinario: un uomo sconosciuto gli si avvicina e ingaggia con lui una personale lotta senza quartiere. Giacobbe resiste e lotta per tutta la notte ma è sfinito, comincia a provare paura, lo assale il timore di non farcela di non riuscire a vincere lo sconosciuto. La lotta continua finché, colpito al fianco e zoppicante, si accorge di aver lottato con l’angelo di Dio.
L’insegnamento è chiaro: tutti abbiamo un appuntamento con la notte, con l’oscurità, quando ci assale la paura di non farcela ma proprio in quel momento Dio si rivela a noi, ci dona un nome nuovo, una energia nuova per camminare appoggiati alla sua forza divina. Umanamente zoppicanti ma cristianamente fermi sul bastone della vita che è la Croce di Cristo.